In passato ma anche sino circa mezzo secolo fa i bambini venivano affidati alle botteghe per imparare “u mesteri”. Sul territorio paternese erano presenti diversi “mastri”: c’era la bottega del fabbro (forgia), del falegname, del calzolaio (scarparu), del sarto… Allora l’apprendimento di un mestiere, da parte di un giovane, era considerato un ottimo investimento (mparate nu mesteri …).  Era il capo famiglia che sceglieva e contattava il proprietario (“mastru”) della bottega in cui il figlio doveva apprendere il mestiere. Nelle botteghe, inizialmente, ai ragazzi venivano affidate le mansioni più semplici.  Il Sarto affidava al giovane il compito di custodire il fuoco per il ferro da stiro. Il Calzolaio inizialmente insegnava al discepolo come preparare la scarpa: ripulirla dalla sporcizia, raschiarla con la raspa, ammorbidirla con l’acqua.    Il Falegname gli affidava i compiti meno pericolosi: trasportare la legna, ripulire i mobili da restaurare, ripulire la segheria. Il Fabbro al giovane apprendista insegnava come tirare il mantice cioè l’alimentatore della fucina.   “U Quadararu”, famoso per una canzone: l’arte della lavorazione e della manutenzione del rame.  Dopo alcuni anni di duro e faticoso apprendistato il ragazzo veniva impiegato nello svolgimento di mansioni più complesse e solamente quando aveva imparato ogni trucco del mestiere poteva sostenere di avere acquisito, sul campo, la qualifica. La “qualifica ” era sottoscritta dalla professionalità della bottega in cui aveva appreso il mestiere. Dopo la “maturità artigiana”, il giovane era pronto per avviare una propria attività.